ERMANNO

Emilio Previtali
3 min readNov 6, 2014

GIA’ LO FACEVA

Storytelling e narrazione d’impresa,
negli anni ‘60.

Poco tempo fa sono stato a un meeting in cui la parola storytelling sarà stata usata in due giorni, almeno cento volte. Anche di più.

Centocinquanta. Duecento. Trecento, forse. Da parte di tutti. Ed è una cosa curiosa perché sempre allo stesso tipo di riunione fino a poco tempo fa, fino a qualche anno fa, nessuno usava mai la parola “storytelling”.

Oggi sembra che il significato della parola “storytelling” lo sappiano tutti e che tutti lo sappiano fare, lo “storytelling”. Però a me, veramente, non pare.
Storytelling non vuole dire raccontare delle storie. Che degli affari propri o della pubblicità o dell’advertising camuffato, alla gente, interessa poco o niente. Fare storytelling significa parlare attraverso il racconto, che è una cosa diversa.

Significa fondare un universo narrativo e connettersi emotivamente con la propria audience rendendola partecipe del viaggio verso il nostro destino.
O qualcosa del cosa del genere.

Non è nemmeno una cosa tanto nuova tra l’altro, lo storytelling come tecnica di narrazione del proprio brand. Guardate qui sotto ad esempio. Questo è un piccolo cortometraggio-capolavoro di Ermanno Olmi che a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 aveva realizzato per conto di Edisonvolta, l’azienda per cui lavorava come dipendente, dei piccoli cortometraggi sulla attività industriale della azienda, tra cui questo.

Si intitola: “Il Pensionato”. Opera d’arte.

Il Pensionato, di Ermanno Olmi (1958)

Con l’intraprendenza e il metodo del bravo artigiano, senza nessuna esperienza specifica alle spalle, il giovane Ermanno Olmi [vi ho già detto che era di Bergamo? Nato alla Malpensata dove fanno il mercato tutti i lunedì, occhio ai portafogli se ci andate] tra il 1953 e il 1961 realizzò decine di documentari raccontando storie di uomini che sono insieme al know-how il patrimonio più grande su cui una azienda possa contare. Olmi raccolse, trattò e raccontò storie della azienda per cui sia lui che i protagonisti dei suoi film erano al lavoro. Si tratta di un concetto di avanguardia: prendere un dipendente e fargli raccontare la propria azienda attraverso le storie dei suoi uomini. E’ il lavoro che tanti giovani oggi vorrebbero fare e che piace fare anche a me. Certe volte anche, capita che me lo fanno fare. Tra l’altro nel rendere merito a Olmi credo anche si debba rendere merito alla sua azienda e al concetto pionieristico per l’epoca di “raccontare il proprio brand”- così come si dice oggi. E già che ci siamo rendiamo merito anche a Feltrinelli, che ha recentemente pubblicato un dvd intitolato “Gli anni Edison” con alcuni di questi documentari. Ho visto molti cortometraggi e documentari di Olmi, affascinato dalla sua capacità di travasare le atmosfere e il reale nella narrazione cinematografica, con un uso coraggioso delle sequenze, dei personaggi e soprattutto dei silenzi.

Ci vuole del carattere per raccontare delle storie partendo dai silenzi.

Silenzi e coraggio. Carattere. Pazienza. Tutte qualità che fanno parte del dna bergamasco e che ho l’impressione ai giorni nostri, nello storytelling moderno - secondo alcuni esperti almeno — si faccia fatica a raccontare. Olmi già lo faceva. Sessanta anni fa.

Originally published at emilioprevitali.blogspot.it on November 6, 2014.

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Written by Emilio Previtali

I’ am a child running in a meadow. A snowflake. A splash of mud. A rolling stone. This is who I am.

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